Intervista ai Piloti di Ravenna | Racconti di mare di Valeria Giordani

IL SETTIMANALE
14/4/2006 – LE DUE ITALIE
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Racconti di mare

di Valeria Giordani

Il Corpo dei Piloti e il loro desiderio di sentire vicina la città

 

Ad ogni incontro con i membri del Corpo Piloti del porto di Ravenna si sente in loro una gran voglia di raccontarsi: un’esigenza di comunicare con i ravennati, di far sentire alla società questo “mondo del mare” che vive accanto alla città, ma in una storicamente difficile compenetrazione. I piloti non sono ravennati, e percepiscono la differenza “culturale” tra città e mare: si sa, Ravenna non ha un istituto di formazione specifica, non ha i ristoranti e le navi illuminate lungo il porto-canale; a parte un molo e un paio di dighe, non ha la passeggiata lungoporto di altre città; il porto è una periferia industriale. Però il mare è nelle radici dell’antica Ravenna, nelle figure di uomini-pesci, nel dio del fiume con chele di crostaceo che compare nel Battistero degli Ariani, nei simbolismi marini da cui i ravennati sono affascinati come da un antico richiamo. Dalla Ravenna percorsa da barche e canali, e dai mosaici illuminati dalla luce rifratta dall’acqua, c’è stata semplicemente la perdita del mare, la trasformazione in terraferma di una geografia di strisce di terra e d’acqua alternate. Una cesura culturale di un millennio e passa, ma l’antica memoria collettiva si percepisce quanto l’attuale convivenza di vicini-non parenti.

 

I Piloti avvertono queste due sponde tra le quali è difficile gettare ponti, perciò invitano, sono lieti di incontrare: vorrebbero raccontare, ridurre la distanza. In questa voglia di comunicare ricordano gli equipaggi delle navi su cui salgono a prenderne i comandi: volti che si sporgono dal ponte e dagli oblò, a decine di metri d’altezza; sguardi avidi di fotogrammi di terra e di gente sul molo; sensi che annusano profumi di cucine e che ascoltano suoni di vita collettiva, finalmente diversi dalla radio e dai rumori di navigazione; ansia di terraferma, di informazioni sul luogo, tanto che i Piloti fanno la parte ormai consueta di operatori turistici, portando piantine, opuscoli e indicazioni.

 

Data la turnazione (nella sede del Corpo, a Marina di Ravenna, si lavora 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno) l’invito è per il pranzo, a cui si possono incontrare almeno due o tre, tra chi comincia il turno e chi smonta: tra uomini d’azione, la chiave per far uscire la quotidianità sotto forma di considerazioni va un po’ ricercata, e il gruppetto aiuta. Il Pilota Maurizio Garipoli, ligure, all’ora di pranzo diventa teutonico e non transige sull’orario: lui, alle 12 in punto, affonda la forchetta; tra lui e Roberto Bunicci, veneziano, Pilota di guardia oggi, corrono battute e punzecchiature che risalgono a una antica rivalità tra Repubbliche marinare. Per affrontare il tema della “cultura del mare” partiamo da lontano: dall’orecchino di Corto Maltese, il personaggio avventuroso-romantico creato da Hugo Pratt e amato da più di una generazione. Forse sono pochi i giovani che, accogliendo oggi questa moda, sanno che si rifà ad una antica tradizione marinaro-corsara: la paura del marinaio infatti non era quella della morte in mare – evenienza giudicata probabile – ma quella di rimanere insepolto. Per questo l’orecchino d’oro era una specie di assicurazione, la ricompensa per chi – avendo trovato l’annegato di un naufragio – gli avrebbe dato una sepoltura in terraferma.

 

Sul mare, infatti, ci sono tradizioni, consuetudini sconosciute in terraferma, superstizioni e religiosità, un codice che mette al primo posto i doveri di solidarietà e la tutela della vita umana; c’è una particolare sensibilità che viene dall’essere uomini che hanno condiviso esperienze e ne riportano il segno. Ci sono rituali e tabù, come quello dei marinai rumeni sul mar Nero: mai far partire la nave con una manovra indietro, porta malissimo. Se proprio la manovra lo richiede, i macchinisti disobbediscono, partono con un piccolo colpo in avanti, poi innestano la manovra all’indietro: gesto che equivale al “fare le corna” partenopeo.

 

Rituali e credenze
Ci sono rituali e credenze: circola la voce di una formula segreta per uscire indenni dalle tempeste, che un vecchio marinaio può svelare solo in una notte particolare. C’è il passaggio dell’Equatore, che viene celebrato come un vero e proprio battesimo (gavettone) di chi lo compie per la prima volta: la circostanza è anche certificata, e al novello cittadino dell’altro emisfero viene appioppato un nuovo nome, un soprannome caricaturale come “Sardinia ridens”. L’altro emisfero è un mondo diverso, in cui l’acqua del lavandino scola ruotando nella direzione inversa, i venti soffiano in direzioni invertite, il sole di mezzogiorno è a nord, e nel cielo della notte non si vede la Stella polare ma la Croce del Sud; ad accogliere le navi sono i branchi non di delfini, ma di pinguini. A raccontarlo è il Capo Pilota Andrea Maccaferri, impegnato nel ruolo dell’ospite, che porta in tavola penne al pomodoro verace, mozzarella di bufala, confettini alla nocciola, caffè: un pranzo multiregionale, in cui si sente l’apporto di ingredienti da più regioni. Complimenti al cuoco. “Alla nostra Maria – precisa il Capo Pilota – preziosa figura di donna di mare, proveniente da una famiglia di pescatori: nonostante il pensionamento, il suo rapporto con i Piloti è quasi un’adozione, e non fa mancare il pranzo sul lavoro”.
Continua con racconti di quotidiana disponibilità dei Piloti verso equipaggi in situazioni particolari: come l’equipaggio islamico per cui l’ora della partenza si presentò al tramonto, fine della giornata di digiuno del Ramadam, proprio quando grandi vassoi di pollo e pietanze venivano posti in tavola. In quel caso, si chiuse un occhio sui 40 minuti di ritardo sulla partenza: il sistema-porto richiede precisione e puntualità, ma si lasciò che cenassero: “Mi sbrigo, mangio come un uccellino” assicurava il comandante attaccando un metro quadrato di vassoio di portata.

O come il caso dell’equipaggio che si era visto costretto a scaricare in mare tutta l’acqua: vedendo che alla richiesta di lavarsi le mani veniva offerta la bottiglia di acqua minerale, i Piloti hanno compreso e condotto la nave in porto prima del suo turno.

Episodi di umanità dettati dall’esperienza dei Piloti, che hanno alle spalle anni di navigazione ed evenienze in cui riconoscono quelle che a loro volta si sono trovati ad affrontare: in questo caso, per Maccaferri, i momenti di tensione a Kau-Shung, porto di Thaiwan. Qui era appena passato un tifone e se ne annunciava un altro: alla nave fu letteralmente “chiuso in faccia” l’accesso al porto. Dopo due giorni di attesa e il tifone alle spalle, la nave, una gasiera, potè entrare, ma a metà dello scarico fu invitata a riprendere il mare, a vedersela con il tifone lontano dal porto. Maccaferri rifiutò, giudicando maggiore il pericolo di navigare con una nave scaricata a metà e squilibrata nel carico; le posizioni si erano irrigidite, e Maccaferri ricorse ad un espediente: mandò a terra quasi tutto l’equipaggio, e potè obiettare che senza uomini non poteva nemmeno manovrare. I fatti gli diedero ragione: una nave giapponese che fu fatta ripartire affondò nel tifone con le 14 persone di equipaggio: anche la nostra nave partecipò alle ricerche, ma non si trovò nient’altro che una chiazza d’olio.

 

Altri episodi riguardano i clandestini, che possono essere sbarcati solo nel porto di partenza che la nave toccherà anche dopo 18 mesi di navigazione: a parte le soste in porto (in cui devono rimanere reclusi) finiscono con l’essere ammessi alla vita della nave e ai suoi momenti di distensione: questi disperati corrono dei rischi, e si sussurra di comandanti senza scrupoli che non esitano a gettare in mare il “problema” a metà dell’Atlantico.
Evenienze lontane da Ravenna e dall’attività attuale dei Piloti del porto, ma anche l’Adriatico – quasi un lago tra due sponde – è caratterizzato da variabilità e si scatena spesso in modo imprevisto.
La settimana scorsa ha richiesto sforzi di flessibilità: dalla bella giornata (e previsioni di manovra normali) alla nebbia (manovre di massima prudenza), alla pioggia (e manovre più rapide) nel tempo variabile di ora in ora.
Per Garipoli e Bunicci è tempo di alzarsi da tavola, le incombenze chiamano: solo qualche minuto per accennare alla responsabilità del ruolo. Appena presi i comandi, ci si rende conto di cosa si ha sotto le mani – dicono – e, valutando tutti gli elementi, si decide rapidamente come condurre la singola situazione: condizioni e navi non sono mai le stesse, ogni volta è diversa. In questo è preziosa l’esperienza e capacità di decisione in tempi stretti: non per niente un Pilota ha una media di 900 manovre l’anno nello stesso tratto, 4500 in 5 anni di esperienza.

 

Ma poco dopo Garipoli ci richiama dal cellulare: in sottofondo alla sua voce, i rumori della pilotina che lo sta portando alla nave. Vuole aggiungere qualcosa sul ruolo del pilota, che lui sente come sintesi di tutto il sistema-porto, elemento “di fluidificazione” e scorrimento della prassi e delle operazioni. E quello significativo di elemento iniziale e finale di ogni viaggio. E’ l’aspetto più bello e dinamico del lavoro.

 

Ma è tempo di saluti, e di nuovi inviti a riparlarne. Alla curva prima del traghetto sta transitando una nave di grandi dimensioni, una di quelle che oscura il sole nella passeggiata sul molo. Si chiama Vasili Belokonentko, e immaginiamo già la lunghezza della sua rotta. Ai comandi c’è sicuramente Maurizio Garipoli, il Pilota che ci ha telefonato pochi minuti fa. Per questo ci sembra di vedere la nave già con occhi diversi.