Una Giornata da Pilota

Viviamo qualche ora, tra routine e imprevisti, insieme al Pilota.

La sveglia suona alle tre e un quarto.

Alzarmi presto dal letto non è mai stato un problema.

Mi muovo al buio, in silenzio. Dormono tutti.

Il primo caffè ha il compito di aprire la connessione con il mondo: un rito da vivere senza fretta. Un’occhiata on-line alla scheda delle prime navi che devono muovere, stabilisce il tempo che ho a disposizione per raggiungere la base operativa dei piloti. A quest’ora la strada è sempre libera e in venti minuti supero il varco di controllo per entrare in porto.

Fino a pochi anni fa la sala operativa era posta al quinto piano della Torre Piloti e, da quell’altezza, ruotare lo sguardo da Punta Vagno verso il taglio della Canzio e poi ancora fino al Porto Vecchio, permetteva di inanellare le informazioni necessarie a impostare il lavoro. I fanali di via fornivano i dati sul traffico in arrivo, la disposizione delle navi alla fonda suggeriva la direzione e l’intensità della corrente, i fumi dell’Italsider e della centrale dell’Enel parlavano del vento, e poi le “pecorelle” sull’acqua in avamporto, le bettoline e i pescherecci in movimento e molti altri dettagli “aggiornavano”, a colpo d’occhio, le numerose variabili così importanti per la sicurezza del nostro lavoro.

Dopo il crollo della Torre ci siamo trasferiti a Ponte Colombo. Sono passati quasi cinque anni. In questo periodo abbiamo lavorato per migliorare la logistica e per supplire ai punti deboli dovuti all’infelice posizione.

Quando esco dalla macchina una brezzolina fredda mi porta a chiudere gli ultimi bottoni del piumino intorno al collo.

La sera prima soffiava un vento teso da scirocco che, nella notte, ha lasciato il posto alla tramontana, ma non è ancora sufficientemente forte da spianare le onde. Questo lascia supporre la presenza di una discreta corrente in canale.

Qualche minuto più tardi entro nella sala operativa.

Le luci sono spente. Un retaggio della vecchia Torre, dove aveva un senso restare al buio per poter vedere cosa succedeva all’esterno.

Le lavagne luminose mostrano i dettagli aggiornati delle navi prossime ai movimenti. Ci si consulta con i colleghi, si assegnano i lavori, si controllano eventuali nuove ordinanze della Capitaneria e si leggono le note lasciate dai piloti smontanti. Resta giusto il tempo per il secondo caffè, poi si scende in pilotina. A seconda delle condizioni meteomarine in cui si opera, si decide se usarne una leggera e veloce che consuma poco, fa meno onda ed è più agile nel traffico intenso, oppure una più dislocante, meno reattiva ma precisa ed efficace nel mare mosso.

Oggi è una di quelle giornate in cui imbarcare potrebbe essere un problema e, proprio per questo, ad attenderci troviamo il pilotino Paolo con la Gemini, un’imbarcazione originale Nelson costruita in nord europa su misura per il tempo cattivo.

Tramontana, onde residue da scirocco e corrente in canale: resta solo da scoprirne l’intensità.

Passato l’avamporto accostiamo per levante offrendo la prora al mare che entra. La tramontana fa il suo lavoro e gli spruzzi lavano la fiancata sinistra per poi sfumare verso la diga, dove si mescolano alle onde che passano le ostruzioni.

Avvisiamo le navi di mantenere un miglio e mezzo di distanza l’una dall’altra e di restare almeno a due miglia dall’imboccatura; questo per permettere tutte le accostate necessarie a creare un buon ridosso per imbarcare.

Riduciamo la velocità per due buone ragioni: evitare colpi troppo forti contro i muri d’acqua che ci troviamo davanti,  e per limitare i danni nel caso dovessimo urtare uno dei numerosi tronchi semi-sommersi portati in mare dal torrente Bisagno.

A me tocca la prima nave, pertanto comincio a dare istruzioni al Comandante sulla velocità e sulle accostate da effettuare. Quindici minuti più tardi ci troviamo cinque o sei metri distanti e paralleli alla nave. Se voglio ottenere un ridosso dal vento per non bagnarmi devo farla accostare a dritta, esponendo la pilotina alle onde dello scirocco; se invece voglio evitare di rischiare le gambe a causa delle rollate, devo farla accostare a sinistra… Opto per la prima soluzione, confidando sulla mia agilità per bagnarmi il meno possibile.

È una nave da carico di 180 metri con una biscaglina di circa sei metri che, nella rollata svantaggiosa, finisce alcuni metri sott’acqua. Raggiungo le griselle e salgo alcuni gradini allontanandomi dalla coperta e dalle secchiate d’acqua che arrivano ogni volta che la prua infilza un’onda.

È una questione di tempismo: il beccheggio e il rollio asincroni della nave e della pilotina, l’alzarsi e l’abbassarsi dell’una e dell’altra sull’onda, devono coordinarsi fino ad avere il motoscafo nel punto più alto, altrimenti le gambe rischiano di restare schiacciate tra i due scafi.

E arriva il momento giusto: nave sulla rollata interna e pilotina sulla cresta dell’onda. Uno slancio veloce e passo dalla grisella alla scala di legno e corda. Un istante dopo la pilotina cade sul cavo dell’onda e la nave sale sulla rollata esterna, mentre le gambe pestano veloci sui tarozzi per allontanarsi dal pericolo.

Raggiungo la coperta e con la radiolina portatile dico al Comandante di tornare in rotta; nel frattempo il cervello registra in automatico alcuni particolari: equipaggio filippino, in ordine e ben organizzato; ufficiale con il vhf e salvagente vicino alla biscaglina; illuminazione ok; la nave sembra vecchiotta ma tenuta bene. Non c’è l’ascensore, ma le scale sono pulite e il marinaio che mi accompagna ha un passo decisamente veloce.

Quando apre la porta, scatta lo spegnimento automatico della luce sulle scale ed entriamo nel Ponte di Comando.

Il Comandante croato parla un italiano impreciso ma comprensibile e, non essendo la prima volta che viene a Genova, lo scambio d’informazioni viene formalizzato in modo chiaro e veloce.

La  nave non è dotata di elica di manovra prodiera, per cui decidiamo di comune accordo di utilizzare due rimorchiatori, che verranno voltati a prora e a poppa una volta raggiunto il ridosso della diga. Ci allineiamo all’imboccatura mettendoci il mare in poppa, riduciamo la velocità per mantenere la riserva di macchina necessaria a riprendere il governo quando rischieremo di perderlo una volta che lo scafo sarà metà dentro e metà fuori della diga.

La velocità diminuisce di poco… vuol dire che la corrente è più forte di quanto pensavo. Non appena la prua prende il ridosso, la nave accosta decisa a sinistra ed è necessaria l’Avanti Tutta per riprenderne il controllo. Non appena il timone sente la macchina, riduciamo l’andatura per poi fermare del tutto i motori e procedere a voltare i due rimorchiatori in sicurezza. Raggiungiamo l’avamporto con una velocità residua di otto nodi e proseguiamo con un bell’inchino a nord per contrastare la tramontana che nel frattempo sta rinforzando. Attraversiamo il taglio della Canzio bene al vento, ma ancora troppo veloci. Appena passata la Bettolo prendiamo il ridosso di Ponte San Giorgio e dell’Idroscalo che ci permette di diminuire di nuovo la macchina.

 

Ph: J.Gatti

 

Davanti a noi si vedono chiaramente le “pecorelle” provocate dal vento sull’acqua tra le testate dei pontili. Tra i venticinque e i trenta nodi. Dobbiamo ormeggiare al levante Somalia. Punto al ponente, fermo la macchina, andiamo di bolina lasciando cadere la poppa. Una volta passato il levante Etiopia ridò macchina avanti, timone tutto a sinistra, rimorchiatore di prora a sostenere al vento.

Ci riportiamo in vantaggio e, non appena la poppa si libera dall’Etiopia, ordino al rimorchiatore di tirarmela su. Fermo la macchina per farla ripartire indietro appena possibile. Sull’aletta il vento forte e gelido rende difficile comunicare via radio, ma la poppa prende vantaggio. È il momento di aumentare la macchina e di fermare il rimorchiatore di prua. La nave pesante arranca avanti verso la diga, ma ben presto il motore fa sentire la sua potenza tra scossoni e vibrazioni, il vento passa in filo e la gestione della manovra torna a essere meno “muscolare”.

È arrivato il momento di lavorare di fino: bisogna stare attenti nell’utilizzo della propulsione, perché adesso c’è in giro la barca degli ormeggiatori. Basta un ordine sbagliato per mettere a rischio le loro vite. E poi bisogna affiancare la nave alla banchina  parallela e dolcemente, stare attenti alle gru, ai cavi, alla posizione…

Il “good job pilot” pronunciato dal Comandante al termine della manovra non è per niente scontato e soddisfa sempre la parte romantica del nostro lavoro.

 

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