La Nascita di un… Ormeggiatore | di Alessandro Serra

SBEBy SBE26 Maggio 20189 Minuti

Vorrei provare a rendervi partecipi di come nasce un ormeggiatore del porto, o più semplicemente di come io ritenga di essere diventato ormeggiatore.

Giova probabilmente, per il proseguo della lettura, descrivere per sommi capi cosa è e cosa fa un ormeggiatore. Figura antica quanto la navigazione, l’ormeggiatore, lo dice la parola stessa, ormeggia e disormeggia, da sempre, le navi nei porti di tutto il mondo. Un tempo collocando e trasportando le ancore dei bastimenti chiamati “legni” nella posizione opportuna all’interno della rada portuale, oggi connettendo e disconnettendo i cavi delle navi alle bitte delle banchine portuali, dei pontili in/off shore, dei campi boe, garantendo la sicurezza dell’ormeggio per tutta la durata dello stazionamento nell’ambito portuale.

Oggi gli ormeggiatori utilizzano potenti motobarche e verricelli, addirittura innovazioni tecnologiche di tensionamento e monitoraggio dei cavi delle meganavi che solcano i mari e che devono trovare approdi sicuri.

Il mio intento però è provare a tratteggiare più la componente umana che quella professionale, più quella intima e pittoresca che quella tecnica e di moderna innovazione – che comunque l’ormeggiatore ha dovuto ovviamente mettere  nel proprio bagaglio di lavoratore – più la nascita (l’essere) dell’ormeggiatore che quello che fa.

MooringMan_fwd_mooringstation ©Fabio Parisi

In Italia, il primo obbligatorio passaggio per la nascita di un ormeggiatore, e’ quello di partecipare a un bando di concorso tenuto dalla Capitaneria di porto, che seleziona i marittimi che si candidano sulla base di prove pratiche di “arte marinaresca” e di prove teoriche sulle materie tecnico-nautiche e marittime.

Coloro che risultano vincitori devono entrare nella locale organizzazione di ormeggiatori, nel mio caso il Gruppo Antichi Ormeggiatori del porto di Genova. Il giovane vincitore di concorso si presenta presso gli uffici del Gruppo, dove, insieme agli altri vincitori, è accolto dal Capogruppo con un rapido discorso di benvenuto, di presentazione della cooperativa, modalità di assunzione e formazione e soprattutto di avviamento al lavoro, in quanto “meno male che siete arrivati ci sono turni in banchina da coprire e i soci non vedono l’ora di conoscervi”. Il presagio che ci sia un forte bisogno di forza lavoro c’è, e per circa un mese tutto fila via paludato, teorico e formativo per quel che prevede la norma, a volte asettico e a volte si prova la sensazione quasi di essere coccolati: poi arriva il primo turno, la prima giornata. Si monta alle 5.30 am, ma si sa che è bene, soprattutto per i neoassunti, presentarsi un po’ prima. Sveglia alle 4.30 e via per la sede del gruppo, felici perché inizia la nuova avventura, consapevoli della propria preparazione, ma con una ragionevole dose di ansia per tutto quello che si è sentito raccontare…… E dunque……… Si entra in “sala“ dove si incontrano alcuni neo colleghi, uomini di tutte le età….. è l’ora del cambio quindi non si capisce chi monta e chi smonta…… le navi che stanno entrando in porto una dopo l’altra chiamano ai VHF…… e chiamano i piloti…… e chiamano le squadre di ormeggiatori già operative in banchina….. si ascoltano i movimenti dei rimorchiatori…….. e alcuni dei presenti nemmeno ti salutano (anche se sanno benissimo chi sei), altri ti dicono “fai veloce, cambiati che c’è da andare”….. (ma come, sono montato mezz’ora prima per fare con calma?!)…….. e alle 5.20, dopo una bella corsa in macchina per le strade di un porto ancora sonnacchioso, ti ritrovi nell’oscurità di una banchina che non sai se sia l’Etiopia o l’Eritrea, levante o ponente, radice, prolungamento o testata, (eppure avevo studiato tutto)…. cammini verso il ciglio della banchina, verso il mare e improvvisamente appare come un’astronave la nave che devi ormeggiare, che con il suo bagliore illumina tutto. Si segue come un’ombra il collega più anziano…. ci si rende conto che a prora c’è un’altra squadra di ormeggiatori…. ne arriva un’altra con il gozzo…… tutto diviene più frenetico e tu hai il cuore in gola….. la nave e’ in prossimità della postazione di ormeggio…. si comunica a voce (urla belluine) con gli uomini dell’equipaggio della nave (con un gergo marittimo portuale che sembra inglese ma che, capisci dopo, in realtà è un mix di linguaggi delle marinerie più numerose in giro per il mondo, compreso un po’ di dialetto genovese) per concordare come e quali cavi dare, si comunica con piloti e rimorchiatori via VHF per la posizione finale della nave…… ti lanciano da bordo l’heaving-line (sagola da lancio o appesantita), in genovese si traduce “u livellaine”, cui uno dopo l’altro sono voltati i cavi da ormeggio…. il gozzo con i tuoi colleghi te ne porta altri in prossimità della bitta e quasi magicamente la nave è ormeggiata!

workerman ©Fabio Parisi

A quel punto capisci di non aver colto quasi nulla di quello che si è fatto, di essere lì per fare l’ormeggiatore ma di non essere ancora un ormeggiatore, e un po’ di timore si insinua dentro di te e ti domandi quando sarai in grado di gestire tutto quello che hai visto solo nella tua prima ora e mezza di lavoro.

Passano i giorni, passano i mesi, a volte gli anni e il quadro a tinte fosche inizia a divenir nitido: si matura la conoscenza dei colleghi che lavorano insieme a te per turni di dodici ore, degli uomini del Corpo Piloti, dei pilotini e degli equipaggi dei rimorchiatori, si impara ad ascoltare la radio VHF quarzata sui canali marittimi dedicati ai servizi portuali e alle emergenze; si inizia ad usare la gestualità marinaresca per salutare e comunicare con gli equipaggi di tutto il mondo. Le navi chiamano, i piloti rispondono e tu riesci a calcolarne  i tempi di evoluzione e manovra a seconda della postazione di ormeggio, dell’utilizzo dei rimorchiatori e della presenza di altre navi: il porto da teorica mappa diventa il tuo habitat naturale e materiale, lo tocchi, lo vivi, ne conosci ogni angolo, ogni insidia, ogni bitta e ogni parabordo e il tuo sapere diviene “saper fare”!

Quando sali sul tuo gozzo e riconosci se il suono del motore sia o meno la musica giusta, controlli le bozze di banco per voltare anche i cavi più “maleducati”, verifichi che il tuo coltello sia alla via, quando ti muovi con destrezza tra i bulbi delle navi che vanno all’ormeggio e i remoni (scie) dei rimorchiatori che le aiutano ad arrivare in banchina, quando capisci anche dal tono di voce del pilota se e quando devi parlare al VHF e quando non devi occupare il canale, allora vuol dire che hai la consapevolezza di riuscire a lavorare riducendo al minimo le insidie che si presenteranno.

E quando poi realizzi che chi non ti aveva dato nemmeno il buongiorno il tuo primo giorno di lavoro e’ proprio colui che più di tutti  è stato attento alla tua incolumità fino a quel momento, allora torna tutto, il primo vagito, ci siamo: è nato un ormeggiatore ……e si deve solo iniziare a crescere!

 

teams ©Fabio Parisi

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