Costa Concordia – Ultimo Viaggio

“Concordia”: da Prà-Voltri alla banchina ex Superbacino

11 e 12 maggio 2015

Mi piacerebbe affrontare questo argomento in maniera analitica e completa, riportando dati, sequenze, problemi e soluzioni, ma sarebbe didatticamente poco utile e formalmente noioso.

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La foto mostra la Concordia prima del movimento da Prà-Voltri a Genova: un relitto circondato da cassoni, necessari a garantire la spinta per farla galleggiare.

La Concordia ha scritto una terribile pagina nella storia della marineria italiana che ha stravolto leggi, consuetudini ed equilibri.

Basta pensare alla caduta di considerazione che abbiamo subito agli occhi del mondo: un singolo, gravissimo incidente ha abbassato il nostro status da eccellenza a mediocrità.

Una sentenza emotiva che certamente “l’Italia sul mare” non merita.

Quella che descrivo è una manovra delicata, quella del relitto della nave da crociera Concordia, naufragata all’isola del Giglio il 13 Gennaio 2012, esattamente 10 anni fa.

Una manovra che ha richiesto un’attenta e lunga preparazione di tutti i Servizi Tecnico Nautici coordinati dall’Autorità Marittima di Genova.

Il trasferimento di quella che era ormai solo la carcassa della nave ha coinvolto buona parte del sistema portuale genovese, ognuno per le proprie competenze, e si è arrivati a formare un piano strategico solo dopo aver valutato i possibili rischi.

La Concordia, nella sua configurazione finale, era lunga 290 metri, larga 65 metri e aveva un pescaggio di 15,90 metri.

Alcuni dei cassoni che l’aiutavano a galleggiare erano stati fissati alla nave anche utilizzando catene di grandi dimensioni che li abbracciavano passando sotto la chiglia. Questo sistema, per quanto efficace, costituiva la preoccupazione maggiore: in definitiva erano la parte più vicina al fondale e quindi la più esposta al rischio di urto. Essendo l’UKC (Under Keel Clearance) limitato a poche decine di centimetri e garantite solo attraversando stretti passaggi obbligati, esisteva il rischio concreto di urtare le catene sul fondo. In quel caso l’ipotesi di rottura, perdita dei cassoni e successivo affondamento, poteva diventare una tragica realtà.

Ovviamente erano state prese tutte le precauzioni possibili, basti pensare all’importante lavoro di dragaggio effettuato prima della manovra, ai precisi rilievi dei fondali eseguiti dalla Drafinsub, alla rotta precisa da seguire studiata con l’Autorità Marittima e all’ausilio del PPU (Pilot Portable Unit), determinante per le giuste valutazioni nei passaggi più stretti.

Per la manovra di disormeggio del relitto nel Porto di Prà-Voltri sono stati utilizzati 4 Piloti: 1 posizionato a poppa, 1 a prora e 2 sul container che fungeva da Ponte di Comando; 6 rimorchiatori, di cui 2 legati a prora, 2 voltati a poppa e 2 alla spinta. Io in qualità di Capo Pilota avrei fatto parte della squadra a bordo e coordinato le operazioni.


La presenza di “denti di cane” e altre incrostazioni, tipiche testimonianze di reperti rimasti a lungo sott’acqua, giustificavano la definizione di “relitto”. Ovunque aleggiava odore di alga spiaggiata e desolazione. Si faticava ad immaginare che quei locali fino a pochi anni prima erano stati saloni e cabine di lusso.

Prima della partenza riunii in una sala i tre Piloti, i Comandanti dei rimorchiatori e gli ormeggiatori che mi avrebbero aiutato nella manovra. Una volta chiusa la porta uno strano silenzio contribuì a rendere quel momento particolarmente intenso. Negli ultimi giorni l’attenzione mediatica, la curiosità della gente e i timori delle persone coinvolte avevano contribuito ad alimentare la pressione su di un’impresa che, nonostante gli studi e gli accorgimenti, continuava a presentare una certa dose di rischio.

Non dovevamo sbagliare nulla!

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Uno dei saloni della “Concordia”.

Ripassammo ancora una volta la sequenza delle operazioni che ci avrebbero visti impegnati di lì a poco. Quando gli ultimi dubbi furono chiariti, decisi di adottare una strategia atta a scongiurare confusione durante la manovra: avrei dato istruzioni chiamando direttamente l’interessato con il telefonino per evitare di intasare il canale VHF. Qualsiasi dubbio o incomprensione sarebbe stato chiarito con quel sistema, avrei usato la radio solo per confermare l’ordine.

Sembra una banalità, ma limitare l’utilizzo del VHF ha permesso rapidi scambi di informazioni senza la minima interferenza.

Nel momento in cui la Concordia mollò l’ultimo cavo, cominciò l’attento studio delle reazioni del relitto: la fase più critica e pericolosa sarebbe iniziata il giorno seguente all’imboccatura di levante del Porto di Genova, ma fino ad allora dovevo capire come si sarebbe comportata.

Il galleggiante rispose fin da subito abbastanza bene al tiro dei rimorchiatori, tendendo però a “scodinzolare” eccessivamente per effetto del fondale.

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La “Concordia” che si appresta all’uscita del porto di Prà-Voltri.

Mi trovavo sul tetto di un contenitore posizionato nel punto più alto, all’in- terno del quale era stata organizzata una sala di controllo per il monitoraggio della zavorra e dei pescaggi. I due Sottocapi mi riportavano costantemente le distanze della diga dalla poppa e dalla prora. Vicino a me un Pilota e un Allievo mi aggiornavano sulla velocità e sui moti traslatori.

Regolai l’andatura sui tre nodi e ben presto uscimmo dal porto. A circa un miglio a Sud della diga sbarcarono i tre Piloti e l’Allievo, che vennero sostituiti da un altro Pilota incaricato di seguire la navigazione notturna.

Dal punto di vista tecnico, il trasferimento da Voltri/Prà a Genova è avvenuto con 2 Piloti, 2 rimorchiatori voltati a prora, 1 a poppa e 1 in assistenza.

I due rimorchiatori di prua si allungarono i cavi e la velocità aumentò pro- gressivamente fino a raggiungere, dopo un paio d’ore circa, i quattro nodi e mezzo: almeno un nodo e mezzo più del previsto.

La situazione cambiò non appena accostammo con la prua a levante, quando la velocità scese drasticamente sotto i due nodi. La colpa era di una discreta corrente a sfavore che decidemmo di combattere avvicinandoci alla costa. Questo accorgimento ci permise di raggiungere i tre nodi sufficienti a rispettare il programma.

All’una di notte, con la situazione ormai sotto controllo, cominciai a ispe- zionare i locali vicini, cercando un posto dove stendere il sacco a pelo che mi ero portato. Avanzavo nel silenzio, illuminando con la torcia le testimonianze della tragedia che aveva spazzato quei ponti. Ricordo una bambola in un angolo e una borsa tutta strappata, ma la cosa che più mi colpì fu la protesi di una gamba abbandonata in un angolo.

Infine trovai una sdraio e provai inutilmente a prendere sonno.

Pensavo a quanto mi sembrava grande l’esperienza di quei giorni… almeno fino al momento in cui mi sono trovato davanti la bambola e la protesi.

Nel buio della notte le proporzioni si invertirono e la mia vita tornò a essere un puntino dentro la storia racchiusa nei duecentonovanta tristi metri della Concordia.

Mi alzai dopo qualche ora, inumidito ma impaziente di affrontare le sfide del nuovo giorno. Raggiunsi il collega nella sala di controllo e una tazzina di caffè bollente mi aiutò a tagliare il filo che mi aveva tenuto legato ai fantasmi del relitto per tutta la notte.

Avevamo già raggiunto la posizione di attesa stabilita e ci trovavamo fermi a levante dello schema di separazione del traffico. Non restava che aspettare l’entrata dei traghetti. Sfruttammo l’attesa mangiando qualche striscia di focaccia portata dal personale fresco appena imbarcato.

Poco dopo l‘alba abbiamo dato volta al quarto rimorchiatore e ci siamo allineati lentamente per l’ingresso, aspettando che altri quattro rimorchiatori ci raggiungessero e si posizionassero nei punti di spinta.

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La “Concordia” mentre attraversa l’imboccatura di levante del Porto di Genova.

Da quel momento in poi il rischio maggiore era costituito dai limiti del fon- dale: si doveva necessariamente passare lungo un canale dragato a 16,46 metri. La Concordia scivolava da una parte all’altra, subendo il richiamo del fango a pochi centimetri dalla chiglia. Ho regolato la velocità a circa mezzo nodo, intervenendo in continuazione per correggere gli improvvisi movimenti del relitto.page179image29024128

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In questa immagine si vede chiaramente il fango sollevato nel momento in cui le catene passavano più vicine al fondo.

Il lavoro preciso dei rimorchiatori, le indicazioni puntuali dei colleghi e la massima concentrazione, hanno permesso che la delicata fase di entrata si svolgesse senza imprevisti.

Abbiamo raggiunto l’avamporto con l’abbrivo residuo, per poi rimontare a Nord e presentarci allineati alla banchina.

L’ultima parte del lavoro era anche la più delicata: dovevamo infilarci in un altro canale dragato largo un centinaio di metri le cui sponde erano fatte, questa volta, di roccia e cemento.

Andò tutto alla perfezione: la coordinazione con i colleghi fu assoluta, i rimorchiatori risposero senza nessuna sbavatura, gli ormeggiatori operarono con precisione ed efficienza.

Dopo circa ventiquattro ore dalla partenza, la Concordia completò il suo penultimo viaggio.

Oltre al cordone di sicurezza presente in mare, era stata istituita un’Unità di Crisi che aveva sede presso la Capitaneria di Porto. Tale Unità rimase in continuo contatto con le motovedette della Capitaneria presenti sul posto durante tutta l’operazione. A bordo c’erano l’Ammiraglio Melone e il Presidente dell’Autorità Portuale Merlo.

E’ difficile spiegare la complessità di un’operazione di questa portata senza scendere in dettagli tecnici che richiederebbero ben più di qualche pagina.

Basti sapere che la movimentazione di questo galleggiante, che non aveva più niente in comune con le forme e l’idrodinamica di una nave, ha richiesto il contributo e l’attento studio di numerose persone, istituzioni e organizzazioni, che per mesi si sono dedicati a mettere a punto ogni fase della manovra.page181image28677040

Rotta di trasferimento del relitto “Concordia”.

“Concordia”: ultimo viaggio

1 Settembre 2016

Della Concordia restava soltanto lo scafo, ancora sfigurato dalle rocce su cui si era sfregiato durante la terribile e ben nota vicenda.

Le sovrastrutture e tutto quello che poteva essere eliminato, compresi i cassoni che le permettevano la galleggiabilità, erano stati asportati, sostituiti nella loro funzione da una specie di vasca ottenuta sfruttando la parte integra dello scafo e numerose lamiere saldate insieme. In questo modo avevano ricavato una specie di cintura stagna che abbracciava la nave per tutta la sua larghezza, proseguendo per quasi tutta la sua lunghezza. Con lo scopo di rubare qualche altro centimetro, avevano anche proceduto a stagnare alcuni locali sommersi ancora integri.

Al termine di questo meticoloso lavoro, sono riusciti a ottenere un pescaggio di 12,20 metri, rendendo il relitto tecnicamente pronto per l’entrata in bacino.

 

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Nelle riunioni precedenti, analizzando l’operazione che dovevamo portare a termine, insieme al personale della Capitaneria di Porto, agli Ormeggiatori e ai rappresentanti dei Rimorchiatori, abbiamo chiesto alcune modifiche strutturali riguardanti, perlopiù, rinforzi per i punti di spinta, modifiche ai passacavi e alle bitte e l’aggiunta di due slitte a prora per agevolare l’entrata nel bacino di carenaggio.

Alcuni cassoni per il galleggiamento, asportati dai fianchi della Concordia, erano ormeggiati a poppa dritta e altri a una ventina di metri dalla prora. Il primo problema da risolvere consisteva nel riuscire a disormeggiare, nonostante l’incastro che si era creato e avendo la sola possibilità di usare un rimorchiatore a poppa, che poteva lavorare a spring e uno a prora da utilizzare per tirare avanti: niente a frenare. Abbiamo risolto il problema mettendone uno a spingere a poppa, pronto a intervenire se si fosse allargata troppo, e uno a spingere su un rinforzo prodiero per rallentare il moto avanti.

Dosando le forze a disposizione, lo scafo è sfilato elegantemente da quella scomoda posizione.

Appena la Concordia fu libera dagli ostacoli, furono voltati, uno a prora e uno a poppa, i due rimorchiatori precedentemente impegnati alla spinta.

Il breve tratto di navigazione si svolse a velocità molto bassa, controllando con attenzione le due evoluzioni che ci hanno portato vicini alla fase finale.

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www.ligurianotizie.it – Fase del trasferimento in bacino.

Era arrivato il momento di pensare all’entrata in bacino.

Mi resi subito conto che il taglio di una parte della prua e alcune modifiche al posto di manovra avevano eliminato la possibilità di vedere i fianchi del relitto.

In quella condizione, con soli quaranta centimetri per parte, riuscire a centrare l’entrata sarebbe stata un’impresa impossibile. La fortuna ha voluto che a bordo ci fossero dei ponteggiatori, e l’ingegnere che ci accompagnava nella manovra fece subito preparare due passerelle a sbalzo che risolsero la situazione.

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Fase dell’evoluzione.

Decisi per un’accostata secca intorno al molo, che ci portò paralleli alle imboccature dei bacini. A quel punto fermai il tiro dei rimorchiatori di prora e proseguimmo con il solo abbrivoresiduo. Feci mollare il rimorchiatore voltato a prora dritta e lo misi alla spinta.

A poppa cominciarono a piegare a sinistra per allinearci all’entrata, mentre a prora i due rimorchiatori tiravano e spingevano per far fare alla prua da perno per la rotazione. Per tutto il tempo la Concordia conservò un leggero abbrivo in avanti.

Il perfetto calcolo della traiettoria e della velocità permisero di centrare la stretta entrata al primo colpo.

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Allineamento per l’entrata in bacino.

Nel frattempo feci mollare il secondo rimorchiatore a prora posizionando anche lui alla spinta per aiutarci nel controllo dell’allineamento. Una quinta barca (RR) si appoggiò a poppa per garantire il movimento avanti.

Due sole volte fummo costretti a fermarci per correggere l’avanza- mento. Infine raggiungemmo la posizione, praticamente toccando con il bulbo in fondo al bacino, in un tempo molto inferiore a quello stimato.

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La “Concordia” in bacino.

Esco dalla cornice di dolore, tristezza e rabbia che circonda l’intera vicenda e mi stacco dagli avvenimenti affermando che le due manovre descritte sono la dimostrazione di come funziona bene l’oliato meccanismo di valutazione dei problemi e di confronto tra gli addetti ai lavori.

Il risultato è l’azione strategica più adatta alla situazione.

 

John Carlo Gatti

 

Estratto dal libro: A bordo con il Pilota

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